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Pensioni: ancora!

di: Orietta Longhi

Dis – pari opportunità per le donne

Sembra che dagli ultimi rilevamenti solo il 30% dei dipendenti avrebbe scelto di aderire ai fondi pensione. I lavoratori, e - credo - soprattutto le lavoratrici, chiamati direttamente ad integrare ciò che mai più riceveranno dal sistema previdenziale pubblico, pare, abbiano dimostrato prudenza nella scelta dei fondi pensioni. Forse stanno aspettando l’esito delle trattative del governo con i sindacati che proseguono parcellizzate ed estenuanti; forse evidenziano apprensione e vorrebbero maggior chiarezza e trasparenza.
Intanto si sussurra che uno degli obiettivi è quello di portare l’età pensionabile delle donne, che vivono di più, alla pari con quella degli uomini.

Invece non si parla del fatto che i calcoli attuariali, differenziati tra uomo e donna, penalizzano di un trenta per cento proprio le pensioni delle donne, e proprio perchè vivono, statisticamente, di più.
Intanto, resta aperta la discussione su tempi e modi per estendere la riforma, nata per i lavoratori del settore privato, anche a quelli del settore pubblico, che conta complessivamente circa 4 milioni di lavoratori, di cui più della metà donne. E, soprattutto, finora, sono rimasti ignorati i lavoratori precari e gli “atipici”.
Di fronte a questa riforma, necessaria, ma frutto di troppi compromessi e di incertezze, vediamo ai tavoli della “concertazione” solo uomini, o almeno anche da parte delle poche donne che la carriera ha portato alla “stanza dei bottoni”, assistiamo a ragionamenti vincolati dai condizionamenti del passato, mentre premono i profondi mutamenti sociali che le donne entrate nel mondo del lavoro hanno portato in ogni ambito della loro attività lavorativa al di fuori della famiglia.
Chiara Saraceno (“La stampa”, 8 luglio 2006), indiscussa studiosa che ha ben presenti le tematiche di “genere”, ha ritenuto di indicare i nodi “politici” che avviluppano e avvitano la riforma delle pensioni in Italia rispetto ad altri Paesi.
Le innumerevoli (e doverose) indagini sul “lavoro femminile”, sui “tempi della conciliazione”, sulla carriera lavorativa delle donne (finanziate “a pioggia” dalle varie istituzioni, compresi i fondi europei) finalizzate l’attuazione delle “pari opportunità nella differenza di genere”, non paiono adeguate o non sono ancora sufficienti a modificare la “cultura“ del nostro Paese, per rendere possibili “politiche” di ampio respiro che comprendano uomini e donne.
Purtroppo, in Italia, il mondo della “politica”, non si è rinnovato dopo “tangentopoli”: resta sempre ancorato al consociativismo di vecchia memoria, quello che ha sempre difeso interessi particolari, che ha coniato le pensioni baby e quelle di anzianità con gli incentivi ai cosiddetti pre-pensionamenti (contrattati dai vertici sindacali e del padronato, a spese dello Stato).
Adesso che il discorso di “genere” – età pensionabile - diventa pregnante, se bisogna tagliare quel 15% del PIL che è la spesa corrente che va alle pensioni, ci si allinea su cifre contabili, e si ignora il più ampio discorso delle discriminazioni verso le donne, la cui attività lavorativa, per coesistere con i compiti di cura e di maternità, è molto spesso più breve ed interrotta.
Il governatore Draghi, senza sbilanciarsi, si limita a sottolineare che le donne a sessant’anni hanno davanti a sé una vita media (statisticamente ) di 25 anni, mentre per gli uomini è di 21 anni. Ma sembra che gli sfugga che proprio per questo, il sistema contributivo nel calcolo attuariale differenziato per uomini e donne, darà alle donne un trenta per cento di pensione in meno; che al momento del pensionamento, la scelta della pensione reversibile o meno, avrà influenza sull’ammontare della pensione stessa.
Nei conti dell’INPS il fattore “F” (femmina) ha la sua influenza se nelle sue statistiche porta in evidenza un andamento “inquietante” delle pensioni di vecchiaia: in quanto riconosciute nel 2004 a 13.000 donne rispetto a 67.000 uomini, e nel 2005 a 100.000 donne rispetto a 61.000 uomini.
Parità uomo/donna nelle pensioni? La donne non dicono di no.
Ma le nostre “quote rosa” della politica, delle università, degli studi delle donne, nelle varie sedi decisionali, hanno ben flebile voce o non ci hanno pensato di farsi carico di una nuova politica delle pensioni a lungo respiro, che tenga in conto le “pari opportunità” che la maggioranza delle donne non ha avuto, sacrificandosi nel “doppio lavoro”.
Concludo con le parole di Chiara Saraceno: “Che cosa ci si può aspettare da un ceto politico con un’età media superore ai sessant’anni (oltre che del sesso giusto) e da un sindacato che rappresenta prevalentemente gli interessi di chi in pensione è già…?”
Aggiungo io correlatamente: che cosa ci si può aspettare da un mondo finanziario (pure del sesso giusto), che sta fagocitando i nostri TFR, ma non brilla per la trasparenza di gestione?

Questi flasch, siano incentivanti per appello alle nostre studiose di materia previdenziale e finanziaria: sollecitando riflessioni che saranno ben accette sul nostro “sito”.