L'ermafrodita, che non trova spazio nei registri dello Stato Civile, è come se non esistesse: nella sua evoluzione fisiologica, potrà rettificare il suo stato civile, ma per lo stato civile sarà solo uomo e solo donna.
Il transessuale, colui che si trova nella condizione esistenziale di chi si sente uomo in corpo di donna e viceversa, per legge, esiste solo identificato nel sesso della nascita, sino a che non è intervenuta la legge 164/1982. Ma comunque, per legge diventa uomo da donna che era, o viceversa.
Sin da quel convegno si diceva come il legislatore italiano fosse intervenuto solo per consentire la omologazione nel sesso definitivo desiderato, e la legge esprime per ciò stesso una sorta di ripugnanza della “diversità”. Non ha fatto altro che assoggettare al controllo giudiziale una scelta personalissima, quella della sessualità, che attiene a diritti inviolabili della persona. L’attribuzione al “trans” del nuovo sesso (desiderato) viene consacrata dal giudice, dopo un atto cruento, un sacrificio di sangue, che è quello della operazione chirurgica autorizzata dal giudice (la giurisprudenza, peraltro forzando la lettera della legge, si è ormai consolidata nel senso che, senza operazione, non è autorizzato il cambiamento di sesso).
Così, il cambiamento del sesso omologa il soggetto nella tradizione: UOMO - DONNA: e su questa endiadi restano intatti i connessi istituti giuridici che definiscono la persona nei rapporti con gli “altri:” matrimonio, filiazione, diritti successori, pensione ...
Ma questa omologazione è “giusta” nella società attuale, quando la stessa biologia ha superato barriere una volta impensabili?
E’ “etico” negare ed occultare artificiosamente la “diversità” che la transessualità esprime?
Perché non accettare la diversità come manifestazione, schietta e leale, di valori differenti?
In Spagna e cioè in Europa, con il matrimonio omosessuale, si è evidenziata la tendenza di superare la barriera della omologazione sessuale, con il risultato che acquista “valore” la solidarietà interpersonale e sociale delle unioni, antiche e nuove, purché fondate sulla reciproca volontà, cioè sul reciproco amore, anche amore tra “diversi”.
Da noi, suscita furente e viscerale polemica il solo enunciare che una legge dovrebbe permettere “patti si solidarietà” (pacs) tra le persone che si amano, etereo o omosessuali che siano.
La “differenza”, nel pensare piatto e conformista, è una “malattia” da “guarire”, l’omologazione resta l’unica spiaggia.
Diceva al nostro convegno del 92, la prof. Raffaella Lanzillo:
“Il problema del transessualismo offre l'occasione di ribadire la necessità che, in questo nostro mondo, si ridia spazio alla natura e alla ragione: alla natura, nel senso di accettarne e rispettarne il più possibile le diverse manifestazioni, anziché pretendere di ricondurle sempre, più o meno artificiosamente entro i modelli a noi noti e a noi graditi; alla ragione, perché occorre una grande razionalità, e una grande capacità di essere liberi, per sapere davvero accettare e valorizzare anche il diverso. Il rifiuto del caso deviante esprime l'istinto animalesco: nel branco avviene che l'animale atipico venga cacciato, aggredito o emarginato. Fra gli uomini la cultura e la ragione dovrebbero sapere davvero suggerire atteggiamenti diversi. Certo, finche la nostra cultura non avrà raggiunto questa maturità, ben vengano le leggi sui transessuali, come quella attualmente in vigore, se possono arrecare sollievo, e risolvere problemi. Non è lecito fare pagare solo ad alcuni il conformismo dei più. Ma l'obiettivo di lungo periodo deve essere diverso e ben più ampio. La vera soluzione per i problemi dei transessuali non sta nell'artificio delle qualificazioni legali, ma nella realtà degli spazi umani e sociali. Non sta nella piatta e ottusa equiparazione ne ad ogni costo di tutti a tutti, ma nel fare in modo che per ognuno sia pensata la normativa che appare di volta in volta più adeguata alle peculiarità del caso: che ognuno sappia accettare la sua diversità, con i suoi valori ed i suoi limiti; che ognuno rispetti la sua condizione naturale, nella certezza della sua completezza umana e della sua piena dignità, agli occhi degli uomini e delle leggi”.
Nel nostro consultorio, nato sulla spinta del movimento femminista, ci siamo posti come compito primario quello di affrontare nel campo della psicologa, della medicina, della educazione sessuale, la fitta rete dei rapporti interpersonali non nel significato di allargare le situazioni patologiche, ma per ricercare nuove dimensioni di vita e di relazioni, che le donne hanno aperto nel rapporto tra pubblico e privato, tra soggetto e soggetto. Abbiamo sempre cercato di costruire situazioni di scambio e di conoscenza con tutti quelli che si nono rivolti a noi. L’aspirazione è quella che ognuno, nella sua omologazione o nella sua differenza, possa raggiungere un proprio equilibrio interiore per esprimere completamente se stesso e la propria creatività, rispetto agli altri.
Con questo spirito il Consultorio si apre alle vostre riflessioni.
E ciascuna di noi, mettendo a disposizione le proprie risorse professionali e culturali, è sinceramente aperta all’ascolto e alla partecipazione.
Ringrazio organizzatori, relatori e tutti i presenti (Intervento di M.A.Montesano).