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Da vittime a protagoniste - Capitolo XXXII

Le donne che si opposero al fascismo furono relativamente poche, e quasi tutte finirono in carcere o al confino esattamente come gli uomini, di cui divisero i rischi nelle organizzazioni antifasciste clandestine. Inoltre ci furono alcune categorie di lavoratrici, ad esempio le mondine, che fecero dei grandi scioperi per difendere il livello dei loro salari. Ma la stragrande maggioranza delle italiane non fu né fascista né antifascista: esse accettarono il regime perché da sempre erano state educate a sopportare e ad adattarsi, e perché la Chiesa lo aveva accettato per prima, definendo Mussolini "l'uomo mandato dalla Provvidenza".

Tuttavia, più istintivamente che a livello razionale, esse cominciarono ad avvertire il pericolo che il fascismo rappresentava, quando, dopo aver tanto parlato di guerra, cominciò a farla davvero. La prima fu quella per la "conquista dell'Impero", nel 1935-36, e in quell'occasione le donne dovettero offrire alla Patria anche la loro fede nuziale, che per molte era l'unico oggetto d'oro che possedessero, e per tutte un simbolo affettivo a cui erano molto attaccate. Poi l'Italia strinse il "patto d'acciaio" con la Germania, e insieme i due paesi parteciparono alla guerra civile spagnola, dando un aiuto decisivo al generalissimo Franco per instaurare il fascismo anche in Spagna.
Quindi, sull'esempio dei tedeschi che si annessero l'Austria, noi occupammo l'Albania; così Vittorio Emanuele III, che era già stato promosso Imperatore d'Etiopia, divenne re anche di quel piccolo paese balcanico che non aveva mai avuto niente in comune con l'Italia. Ma l'imitazione del "grande alleato" non finiva lì: dal '38 in poi, il fascismo seguì il nazismo in quella feroce quanto assurda lotta antisemita, che doveva portare in pochi anni allo sterminio di sei milioni di ebrei. Infine, nel '40, ebbe inizio l'ultimo atto della tragedia, il conflitto mondiale che mise a ferro e fuoco prima l'Europa e poi il mondo intero, e terminò solo nel '45.
Quindi, dal 1935 al 1945, sono dieci anni di guerra che il fascismo ci ha regalato, sui ventuno che ci ha governato. E le donne ne hanno sofferto quanto e più degli uomini, perché tutto il territorio nazionale subì bombardamenti e distruzioni, patì fame e miseria. Perciò esse furono le prime a odiare e maledire il fascismo, che dopo avergli portato via mariti, figli, padri e fratelli, le seppelliva sotto le macerie della loro casa. E molte parteciparono alla Resistenza.
Dopo l'8 settembre del '43, quando si costituirono le prime formazioni partigiane, sorsero i Gruppi di difesa della donna per l'assistenza ai combattenti della libertà, con il compito di organizzare manifestazioni e scioperi nelle fabbriche, e atti di sabotaggio alla produzione bellica. Infatti, come sempre durante le guerre, operaie e impiegate erano state richiamate al lavoro con gli stessi argomenti con i quali prima ne erano state allontanate: ossia "per il bene della patria". Ma in quegli anni di martirio le donne cominciarono a riflettere e ragionare, a parlare tra loro, non più isolate nelle mura domestiche, non più protette e zittite dai loro uomini. E cominciarono appunto a organizzarsi, partecipando prima ai grandi scioperi che si svolsero nelle città industriali del Nord negli anni '43 e '44, poi entrando nella lotta attiva armata.
Ii riconoscimento ufficiale della loro azione si ebbe in piena guerra, nel luglio deI '44, da parte del CLN dell'Alta Italia, con una deliberazione che approvava l'orientamento politico e i criteri organizzativi dei Gruppi di difesa della donna, ne apprezzava i risultati, e li riconosceva come un organismo unitario aderente al Comitato di liberazione nazionale. Le cifre testimoniano da sole la vastità della partecipazione femminile: vi furono 75.000 appartenenti ai Gruppi di difesa, 35.000 partigiane, 4.563 tra arrestate, torturate e condannate; 623 sono state uccise, 2.750 deportate in Germania, 15 decorate di medaglia d'oro.
Certamente si tenne conto del loro contributo, quando il 1° febbraio 1945, su proposta degli onorevoli Togliatti e De Gasperi, un decreto legge luogotenenziale riconosceva alle italiane il diritto di voto. Ma dopo tante lotte e tante polemiche quel diritto arrivò quasi inaspettato, mentre nel Nord infuriava ancora la guerra che ebbe termine solo con l'insurrezione del 25 aprile. La stampa dette poco rilievo alla notizia, che passò quasi dei tutto inosservata, tra i tanti problemi che donne e uomini dovevano risolvere in un'Italia semidistrutta, da quello del cibo a quello del tetto. Comunque le elettrici dettero buona prova di sé, prima nelle elezioni amministrative e poi in quel famoso 2 giugno 1946, che segnò la nascita della Repubblica. Nella stessa votazione furono anche elette ventuno deputate all'Assemblea Costituente.
Delle vecchie femministe che si erano battute per il voto nell' '800 nessuna era più in vita. Anna Maria Mozzoni era morta nel '20, a Roma, dopo aver assistito all'ultima discussione della Camera sul suffragio femminile. Anche Anna Kuliscioff era morta da tempo, e così le altre socialiste, che a volte avevano dovuto convincere anche i loro compagni di partito. In fondo riecheggiava le loro parole il discorso che l'on. Togliatti tenne alle donne comuniste nel giugno del '45: "L'emancipazione della donna non è, e non può essere, problema di un solo partito e nemmeno di una sola classe: esso interessa tutte le donne... ".

L'avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. - Milano - Prima edizione Collana Aperta maggio 1976
Seconda Edizione Oscar Mondadori marzo 1981
Copyright by Gabriella Parca - Terza Edizione - www.cpdonna.it 2005