Era una vita dura, ma forse per questo venivano trattate con grande rispetto dal marito e dagli uomini in generale, che non le consideravano in nulla inferiori a loro. Poi alcune divennero padrone di grandi proprietà, e come le ricche europee, si circondarono di comodità e di numerosa servitù. Ma furono una minoranza: la maggior parte continuò a lottare per vivere, lavorando la terra, tagliando la legna, mungendo il latte.
Tuttavia, il “modello” femminile che cominciò ad affermarsi in Australia nella seconda metà dell’‘800, e che risentiva fortemente dell’influenza inglese, fu quello della casalinga, moglie e madre. Le donne che vivevano in città venivano classificate a seconda dell’occupazione del marito o del padre, ossia diventavano dei pianeti che brillano solo di luce riflessa. Le più ricche passavano le loro giornate intrattenendo relazioni sociali, cercando un buon marito per le figlie e dando ordini alla servitù. Quelle che lavoravano erano cameriere, commesse, operaie, e il loro salario era esattamente la metà di quello maschile. Nel 1874 si organizzò il primo sindacato, quello delle sartine di Melbourne, e nello stesso anno si ebbe il primo sciopero. Poi la manodopera femminile fu sempre più impiegata nell’industria tessile, alimentare, calzaturiera e in quella delle confezioni.
Anche in campo culturale le australiane si fecero rapidamente strada: nell’‘83, si ebbero a Melbourne le prime laureate. Ma il pregiudizio verso di loro, diversamente da quando lavoravano nelle fattorie, era fortissimo. Nacquero per reazione le prime femministe, molto simili a quelle inglesi e americane, con cui avevano in comune la lingua e le origini anglosassoni.
Però, sotto certi aspetti, le australiane erano più emancipate delle loro sorelle d’oltreoceano: ad esempio usavano i contraccettivi e praticavano lo sport, in particolare la bicicletta e il nuoto. Insomma, somigliavano già molto a quelle stupende atlete che sono oggi le loro discendenti.
La prima guerra mondiale vide molte femministe manifestare contro il richiamo dei soldati alle armi, mentre altre donne partirono volontarie come infermiere. Poi, tutte insieme, parteciparono alle lotte in favore dei disoccupati, negli anni della depressione economica che seguì la fine delle ostilità, cercando inutilmente di opporsi alla logica tipicamente maschile di una pace che segue una guerra per prepararne un’altra.
Infatti, vent’anni dopo, eccole di nuovo sulla breccia della “seconda” mondiale. Molte lavorarono nelle industrie belliche, nelle cliniche e come ausiliarie nell’esercito; altre furono impiegate nei centri per l’infanzia, dove le madri lasciavano i bambini nelle ore di lavoro. Ma in fondo sentivano che si ricorreva a loro solo quando mancava la manodopera maschile: passato il momento critico, nonostante il sistema educativo incoraggiasse a sviluppare il potenziale intellettuale femminile come quello maschile, si faceva di tutto per rimandarle a casa.
L’Australia non è diversa dagli altri paesi capitalisti, in cui la donna è vista soprattutto come “consumatrice”, e come tale viene corteggiata, adulata, seguita passo passo all’interno della sua casa attraverso la radio e la televisione, perché acquisti il più possibile, non importa se delle cose utili o inutili. In veste di “produttrice”, invece, è piuttosto mal vista. Infatti soltanto una donna su quattro lavora fuori casa, e come al solito è relegata in posti di secondo piano, abituandosi così a sottovalutarsi, ad avere poca stima di sé.
Un singolare episodio accaduto di recente a Sydney, la maggiore città australiana, lo dimostra. Su un giornale è apparso l’annuncio di una nota società che cercava una donna per un posto di direttore di ricerche di mercato, offrendole 6.000 dollari l’anno, che è uno stipendio piuttosto alto; ma nessuna ha risposto. Allora, la stessa società ha ripubblicato l’avviso abbassando lo stipendio a 3000 dollari, e ha ricevuto molte risposte. Evidentemente le candidate si sentivano più sicure a un livello retributivo più basso, perché erano state abituate ad aspettarsi soltanto un trattamento di questo tipo
Le australiane incontrano molte difficoltà sul lavoro, ma non vengono prese sul serio neppure dai sindacati. Esistono molti pregiudizi contro di loro, dando luogo ad altrettante discriminazioni, ed è stato anche per questo che sono nati, nel 1970, alcuni gruppi femministi.
“Donne unitevi: non avete niente altro da perdere che le vostre catene.” Era lo slogan dipinto su un grande cartello, parola d’ordine al primo convegno femminista, e le australiane hanno risposto all’appello come le donne di altri paesi. Poi tutto è avvenuto secondo le solite modalità: i gruppi hanno proliferato, si sono diffusi dalle città alla campagna, alcuni sono più politicizzati, altri affrontano i problemi specifici della condizione femminile. E come altrove, le nipoti delle antiche pioniere hanno cominciato a muoversi, a protestare, a farsi valere.
Certo, il cammino è lungo per arrivare a risultati concreti. Ma, poiché dai quattro punti cardinali si sono mosse colonne di donne, si può essere certi che il traguardo prima o poi sarà raggiunto.
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