Poi organizzarono una sessione in cui molte delle partecipanti portarono la testimonianza delle loro esperienze dirette, sottolineando il significato politico-sociale di quelle vicende, che non potevano più essere considerate faccende private. Successivamente misero in scena uno spettacolo, sempre sul tema dell’aborto, facendo grande scalpore. Così il gruppo si allargava rapidamente, ma per poter dare a tutte le aderenti la possibilità di esprimersi, si divise in tanti ‘piccoli gruppi” di otto o dieci persone, che raccontavano le proprie esperienze e parlavano dei loro problemi. Questa pratica, detta appunto di “autocoscienza” nel piccolo gruppo, è stata ben presto adottata anche in altri paesi, ed è diventata una caratteristica fondamentale del movimento femminista.
Così scrive Celestine Ware nel Manifesto, pubblicato nel luglio dello stesso anno: “Poiché noi abbiamo vissuto in stretto rapporto con i nostri oppressori, isolate le une dalle altre, non abbiamo potuto considerare le nostre sofferenze personali come una condizione politica. Ciò ha creato l’equivoco che la relazione di una donna con un uomo sia una questione strettamente personale e riguardi soltanto loro due... Noi consideriamo la nostra esperienza personale e i nostri sentimenti nei riguardi di questa esperienza, come la base di un’analisi sulla nostra situazione comune. Non possiamo appoggiarci sulle ideologie esistenti, perché esse sono un prodotto dell’ideologia maschile... Noi ci identifichiamo con tutte le donne e riteniamo che gli autori della nostra oppressione siano gli uomini. La supremazia maschile è la forma di oppressione più antica e fondamentale. Tutte le altre forme di sfruttamento e di oppressione (razzismo, capitalismo, imperialismo) sono dei prolungamenti della supremazia maschile: gli uomini dominano le donne, e alcuni uomini dominano gli altri”.
Nella stessa estate del ‘69 nacque il gruppo “Le femministe”, la cui principale animatrice fu Ti-Grace Atkinson, successivamente allontanata perché la sua forte personalità s’imponeva quasi inevitabilmente sulle altre. Nella ricerca di un’autentica democrazia interna, tutte le cariche venivano estratte a sorte e dovevano essere ricoperte, di volta in volta, da ogni aderente. Inoltre, per evitare che durante, le riunioni parlassero sempre le stesse persone, non lasciando spazio alle altre, veniva distribuito un certo numero di gettoni a testa, e ogni volta che si prendeva la parola bisognava gettarne uno: quando la propria dose di gettoni era esaurita, non si poteva più parlare.
Forse questi interventi a “tassametro” fanno sorridere coloro che accusano le donne di essere delle irriducibili chiacchierone, eppure proprio una tale forma di autodisciplina dovrebbe far ricredere sulla serietà dei loro propositi. Del resto, quel gruppo si distinse per la rigidezza delle sue regole, tra cui quella che escludeva le donne sposate o conviventi con un uomo. Il matrimonio fu infatti al centro degli attacchi de “Le femministe”, perché era considerato un’istituzione tendente a mantenere la divisione dei ruoli all’interno della famiglia; ma neanche l’amore fu risparmiato, e si disse che doveva essere distrutto insieme alla famiglia, perché creava uno stato di “vulnerabilità e dipendenza”.
Per la verità queste idee non furono molto apprezzate al di fuori del gruppo, e provocarono delle razioni ostili, non soltanto da parte degli uomini, ma anche di tante donne che vedevano distruggere di colpo tutte le certezze che le avevano sostenute fino ad allora, e che non erano mai state messe in discussione. Non si può negare, infatti, che quelle fossero delle posizioni estremiste, che ribaltavano completamente le convinzioni esistenti: ma proprio per questo stimolavano a rivedere l’intero rapporto uomo-donna con occhio critico, per arrivare a conclusioni più equilibrate ma nuove rispetto al passato.
Un terzo gruppo venne formato dalle militanti che abbandonarono “Redstockings” e “Le femministe”. Si chiamava “New York Radical Feminists”, e mentre rifiutava l’eccessiva subordinazione dell’individuo e l’eccessiva rigidità del regolamento, cercava di conciliare la teoria con l’azione per fare nuove reclute. Fra le sue fondatrici ritroviamo la Firestone e la Koedt, che lanciano un manifesto in cui sono precisate le posizioni ideologiche e il programma delle femministe radicali. La causa fondamentale dell’oppressione femminile viene sempre vista nello sciovinismo maschile, ma si rilevano conseguenze di due tipi: di carattere economico (ineguaglianza di salari e d’impieghi) e di carattere morale (la donna è sempre il numero due nella famiglia e nella società). L’amore però non è considerato sempre un fatto negativo: esso diventa anzi positivo, se invece di controllare e impedire “la crescita dell’altro” la stimola incoraggiando e favorendo la piena realizzazione della persona amata.
L’unità di base di questo gruppo è la “brigata”, composta da 5 a 8 donne, fino a un massimo di 15. Si forma attraverso un periodo di preparazione della durata di sei mesi, di cui tre dedicati all’autocoscienza, e tre occupati da letture e discussioni, in particolare sulla storia del femmi-. nismo. Ogni brigata prende poi il nome di una femminista dell’ ‘800, che in un certo senso assume a suo modello ideale. La prima si chiama infatti Stanton-Anthony, un binomio considerato una pietra angolare del movimento per la liberazione della donna. Poi si sceglie un campo d’azione, che può essere la preparazione di un libro o la messa in scena di uno spettacolo. È nato così uno dei documenti più interessanti sul nuovo femminismo americano, quella pubblicazione già citata, dal titolo Appunti sul secondo anno, che insieme ad Appunti sul primo anno, riporta articoli e avvenimenti di quel primo periodo di vita dei movimento, importantissimi per una futura “storia”.
A Boston sorse invece un gruppo più politicizzato, “Liberazione femminile”, che pubblicò una rivista e organizzò lezioni di karatè. Si sosteneva infatti la necessità di difendersi anche dagli attacchi fisici, che spesso sfociavano in violenze sessuali, mentre fino ad allora ci si era limitate alla denuncia delle violenze. Quanto all’orientamento politico, era decisamente a sinistra, essendo ispirato da quella Roxanna Dunbar che qualcuno definiva “la femminista rossa”. I problemi della condizione femminile venivano ricollegati a quelli dei terzo mondo, al razzismo e alla lotta di classe: quindi anche la liberazione della donna veniva vista in un contesto più generale, in cui eliminare ogni forma di oppressione.
L'avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. - Milano - Prima edizione Collana Aperta maggio 1976
Seconda Edizione Oscar Mondadori marzo 1981
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