Nasce dallo stupore emerso nell'ascolto di come un così profondo disagio non diventasse spinta ad una comprensione degli accadimenti vissuti ma si trasformasse nella ineluttabilità d'essere esposti agli eventi così come si presentavano e in profondo isolamento. Uno zhunami emotivo, percettivo, esperienziale che nulla lascia intatto ma che assorbiva energia vitale. Da qui la personale istanza a comprendere come mai la "ribellione a un sistema" si aprisse solo virtualmente a spazi di condivisione e alla comunità dei pari che specchio di un sociale coercitivo contempla leggi ferree anche quando ci si ribella.
Ho 12 anni e faccio la cubista mi chiamano principessa – storie di bulli, lolite e altri bimbi, racconta documentando di storie di doppie vite di ragazzi/e di un'età compresa tra gli 11 e i 14 anni Cinque storie autentiche riferite col ritmo del racconto d'indagine e un viaggio nei loro blog. È il mondo di pre- adolescenti, disincantati, provocatori e aggressivi. Il loro regno sono le discoteche pomeridiane. Al sabato pomeriggio escono di casa, con gli abiti di tutti i giorni, annunciando ai genitori visite ad amici, passeggiate in centro, l'ultimo film di cui tutti parlano.
Varcata la soglia della discoteca, la trasformazione è totale: perizoma, pelle unta d'olio perché brilli, tiratissima, sotto le luci stroboscopiche, il seno appena coperto da un top invisibile. Queste principesse del pomeriggio ballano, mimando le pose della lap dance. Ballano davanti agli occhi di compagni di scuola e coetanei pronti a carpire, coi cellulari, foto e filmini. Scambi sessuali a pagamento, droga, bullismo violento, bande organizzate in strutture rigidamente piramidali che scandiscono l'erogazione di abbonamenti e ingressi e il viavai di nuove cubiste e quello che emerge dai loro narrazioni. Narrazioni sincopate, a volte prive di sintassi e di grammatica ma dense di emozioni, dolore, fame di vita e senso del comico, che l’ autrice riscrive senza togliere nulla all’intervista o alla testimonianza “posta”, per rintracciare per loro e per noi un senso possibile.
I nuovi riti raccontati all'interno del libro inchiesta mettono in luce riproducendolo all'infinito il corpo. Declinano con perizia ed innocenza l'enunciato di Andy Warhol sul diritto alla riproducibilità seriale dell'opera d'arte senza che ne venga meno la sua autorevolezza. E' un corpo in trasformazione "l'opera d'arte" esibita. Un corpo venerato e temuto, un corpo che paga i suoi tributi compresi quelli di affiliazione al branco come in ogni comunità piccola o grande che sia. A tale proposito trovo interessanti le definizioni di corpo che Marco Aime, antropologo genovese, ha riportato nel suo libro Il primo libro di antropologia. Aime scrive: " ----- C'è però un dato universale che accomuna tutte le società al di là della condivisione biologica : non esiste nessuna cultura al mondo al mondo che accetti il corpo così come viene donato da Madre natura. Nessuna società che accetti di lasciare i capelli incolti, che non limiti la crescita delle unghie, che non applichi qualche sostanza sulla pelle.
Il corpo viene disegnato, inciso, scolpito, amputato, modellato, quasi luomo volesse sancire con queste operazioni il suo distacco dalla natura, mancarne la differenza, per spostarlo sul terreno della cultura."(pag.28)------ " Il corpo nella sua versione naturale, appare dunque come una pagina bianca, su cui poter scrivere; il corpo "culturale" elaborato. dipinto, segnato, diventa allora un testo scritto in una lingua particolare, che la rispettiva cultura è in grado di decifrare." (pag.32)------ La letteratura etnografica è ricca di prove inflitte alle carni umane, dal rito della frustata, diffuso nel Golfo della Guinea, alle lacerazioni dorsali praticate con una pietra ai giovani archè del Brasile----- giovani Punk.
Pelle e carne vengono penetrate, violando un confine considerato intangibile-----Per molti giovani appartenenti a questa cultura alternativa , farsi un pircing esprime una volontà di controllo, di riappropriazione del corpo. Incidere, incidersi, per provare un senso di partenenza o urlare la propria inadeguatezza alla vita così come ci corre attorno. E l'infliggersi dolore con tagli, punture o sfregi può rappresentare un antidoto ad un altro dolore: quello esistenziale, che annulla e spersonalizza, annienta il sè. Un dolore più forte inflitto alla carne, può provare a chi lo sente di non essere morto, di avere ancora vita dentro. (pag 38).
Considero il libro proficuo per avermi indotto a riflettere sulle narrazioni ascoltate in prima persona ma anche sulla personale esperienza adolescenziale; se ogni generazione ha messo in gioco proprie modalità di contrasto con le generazioni precedenti questa generazione, digitale, sopra le altre ha fame e necessità di riti di passaggio.
Nel dare corpo alle parole, attraverso una scrittura chiara ed efficace, l’autrice si sente in dovere di avvisare i lettori adulti che il suo libro è un libro rivolto espressamente a loro nella speranza che possa aiutarli a vedere quel che non si vede, a capire, ad ascoltare. Con questo intento Marida Lombardo Pijola dipana per ciascuno di noi i miti che attraversano la comunità dei piccoli uomini e delle piccole donne. Comunità che ha imparato a conoscere in rete. Una generazione che si è aggregata intorno a codici cifrati inaccessibili al mondo per declinare i miti del presente, un coro greco che canta: “ Il corpo, il sesso, la bellezza, il look, l'esibizionismo, l'apparire, il contare, i soldi, la carriera, il successo.
Sono i nuovi contenitori nel quale scorre il flusso di ogni progetto, di ogni desiderio, con la fatuità e l'integralismo dei sogni infantili: la televisione, il cinema, lo spettacolo, i reality, il calcio, la moda. Sono i comportamenti e le abitudini in cui concretamente si traduce quella che il luogo comune definisce " la crisi dei valori": le ambizioni scadenti, e il vuoto delle idee e degli ideali che si manifestano sempre più precocemente.” Ma anche quel lato d’ombra che il modo adulto produce e fatica ad elaborare.