GIOVANNA
La rivendicazione delle cosiddette “quote rosa” si è allargata in tutto il mondo.
Consiste, nel garantire alle donne una sicura ed adeguata rappresentanza nelle istituzioni elettive e decisionali per permettere la loro partecipazione attiva alla vita politica/decisionale del Paese.
Nell’Unione Europea, la Carta dei diritti fondamentali stabilisce che “il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sotto rappresentato” e cioè del sesso femminile. E si è aperta, e non solo in Italia, la querelle che il principio costituzionale di “parità tra i sessi”, renderebbe incostituzionali le leggi di favore per il sesso femminile nelle elezioni.
Il problema dunque diventa se le “quote rosa” possono essere stabilite per legge, e specificatamente per i partiti se la legge o i regolamenti interni dei partiti devono stabilire le modalità partecipative delle donne per garantire loro la elezione locali e statali in percentuale ragionevole rispetto agli uomini.
Non ci sono più le donne nelle piazze a suggerire ai partiti una nuova “politica”, ma sono le donne che dall’interno dei partiti lavorano e fanno carriera a pretendere norme che consentono o impongono maggio partecipazione politica alle generalità delle donne.
La Corte Costituzionale era intervenuta con la sentenza n. 422 del 1995, per dichiarare la incostituzionalità della legge che imponeva le “quote” di candidature femminili sostenendo, in via generale e sulla base degli art. 3, primo comma, e 51 Cot., che in materia elettorale deve trovare applicazione soltanto il principio di uguaglianza e che “qualsiasi disposizione tendente ad introdurre riferimenti “al sesso” dei rappresentanti è in contrasto con tale
principio (di parità tra i sessi)”. Solo i partiti, nei loro regolamenti interni, possono decidere sulle candidature ed, eventualmente, attribuire alle donne le percentuali nelle liste elettorali. Il discorso delle “quote” è fieramente avversato da alcune donne in politica:
Emma Bonino le aveva dichiarate “ridicole”, altre sostengono che le donne non sono dei “panda da proteggere”.
Ma c’è stato un timido ritorno sulle piazze del “comitato per le quote rosa” che si è dato il nome “Siamo più della metà”. Vi hanno partecipato associazioni quali la Fondazione Belisario, l'Udi romana, l'Arcidonna nazionale ma anche donne di generazioni ed estrazioni politiche diverse, per denunciare, con un picchetto davanti al Senato, che ricordava il movimento degli anni settanta, per denunciare l'inadeguatezza e l'anacronismo della legge elettorale e chiedere ai partiti di garantire adeguata rappresentanza delle donne nelle liste elettorali (anche se una “politica di genere”, non sembra fosse esplicitata).
Se sia stata determinante la manifestazione del comitato non si sa. Certo è che il nostro Parlamento, senza nemmeno tante discussione, anche per attuare la direttiva europea, ha approvato le leggi dette delle “quote rosa”.
Nel 2001, ha modificato la norma costituzionale (leggi 31 gennaio 2001, n. 2, e 18 ottobre 2001 n. 3) per impegnare le Regioni ad intervenire al fine di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione di uomini e donne almeno nelle liste elettorali. Con la legge del 30 maggio 2003, a larga maggioranza, ha modificato l'articolo 51 della Costituzione, con l’aggiunta del seguente periodo: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». La stessa Corte Costituzionale, poco prima dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 51 Cost., aveva modificato il suo precedente avviso, con la sentenza n. 49 del 2003, stabilendo che la presenza di almeno un candidato del sesso meno rappresentato abbia carattere antidiscriminatorio e non violi gli art. 3 e 51 della Costituzione. Infine, in attuazione della nuova norma costituzionale, la legge 8 aprile 2004 n. 90, ha stabilito che le liste che fanno riferimento ad un medesimo soggetto politico, debbono essere formate in modo che “nessuno dei due sessi” possa essere rappresentato “in misura superiore ai due terzi dei candidati”, e ha previsto una sanzione economica per i partiti che non rispettano tale prescrizione e un incentivo per i partiti che abbiano avuto proclamata eletta una quota superiore ad un terzo dei candidati di entrambi i sessi.
In termini di numeri le “quote” hanno avuto un riscontro positivo nelle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 2004, portando al raddoppio delle candidature femminili: circa il 35% del totale, ed un sostanziale incremento delle elette, passate dall’11 al 19% dei rappresentanti italiani a Strasburgo.
Nel nuovo Parlamento eletto nel 2008, le donne hanno superato per la prima volta il 20%. La classe politica, seppur di poco, è diventata più rosa, ma le distanze di rappresentanza femminile restano importanti rispetto ad altri Stati europei.