E, per non venir meno alla promessa fatta, la stampa controllata dal regime, nel dare notizia dei primi morti al fronte, ricorre ad eufemismi, definendoli “caduti”, “dispersi”, “eroi”, come se avessero raggiunto, per il fatto di essere stati uccisi in guerra, una dimensione aulica, dove non poteva trovar posto neppure il dolore di coloro che li amavano.
Le vittorie sono celebrate ed esaltate mentre le sconfitte sono minimizzate e date per incruente, o quasi.
I feriti, però, iniziano a tornare dal fronte e raccontano quel che hanno vissuto.
C’è la disperazione, molto reale, dei familiari che ricevono la notizia di una morte; a qualcuna è anche dato sapere che il proprio marito è rimasto intrappolato in un sottomarino inabissato: niente corrisponde a quello che il regime voleva far credere.
Gabriella cresce durante questi anni di guerra e da ragazzina, qual'era, diventa una persona consapevole ma c’é qualcosa che è sempre stata presente in lei sin da piccola: LEI E’CRITICA. Non si accontenta mai della versione “ufficiale”, di quello che la stampa controllata dal regime fascista vuol dare ad intendere e che le suore le propinano costantemente in collegio.
Ascolta i compagni del ginnasio liceo pubblico che frequenta, confronta le opinioni, cerca conforto alle tesi e ai giudizi che le giungono sommessamente (il dictat era: “taci il nemico ti ascolta”): insomma fa la giornalista!
Pur nell’ambiente angusto e bigotto del collegio riesce a scovare una fonte di informazione che le consente di farsi un’idea del panorama internazionale, “L’Osservatore Romano”.
Il collegio è retto da una persona, la Madre Superiora, che ha studiato in America e comprende il suo desiderio di conoscere quel che accade realmente e di formarsi un’opinione libera. Grazie a lei Gabriella riesce a procurarsi quel giornale che, all’epoca dei fatti, era pericoloso persino andare a comperare in edicola e ora mi racconta che questo è l’unico ricordo bello della vita in collegio: l’aver incontrato una donna colta e intelligente che aveva pietà anche dei morti del nemico.
Nel romanzo sono narrati molti episodi toccanti come quello di un ragazzo ebreo fuggito dal ghetto di Roma appena prima della retata nazista, al quale Gabriella regala, pur nella penuria di mezzi e nella precarietà della situazione famigliare, una giacca da caccia di velluto verde. Tra i due sboccia un amore. Ma quella giacca da caccia di velluto verde servì solo, più tardi, a permettere un tragico riconoscimento.
Quando le chiedo del ricordo più angosciante di quel periodo, Gabriella mi narra della notte dei cosacchi.
Mentre viene bombardata l'Abbazia di Montecassino, giunge in paese uno reggimento a cavallo: sono i cosacchi che avevano disertato dall'Armata Rossa e si erano uniti ai tedeschi.
Come banditi fanno razzia di tutto, casa per casa, sino a quando un pover'uomo osa opporsi alle loro prepotenze. La rabbia degli invasori non si placa nel massacrarlo di botte e ucciderlo davanti alla moglie e ai figli; decidono, per rappresaglia, di dar fuoco all'intero paese.
Una volta bloccate tutte le vie d'uscita i cosacchi accatastano, sin dall'inizio del paese, le fascine di legna che, una volta preso fuoco, avrebbero bruciato, una ad una, tutte le case.
Gabriella ricorda che “con il buio della sera, la gente uscì dalle case e si riunì in chiesa o nelle abitazioni piu' grandi. Molte donne vennero da noi e intonarono il rosario. Sembrava che stare tutti insieme desse un po' di coraggio”.
Nel terrore di morire bruciata viva, comune a tutti gli abitanti, Gabriella trascorre quella che definisce la notte più lunga della sua vita. Ma all'alba, quasi "insperatamente", i cosacchi se ne vanno, non si sa se per via di un ordine ricevuto o per aver cambiato idea. E la fine dell'incubo è festeggiata dalle campane della chiesa che suonano a festa.
Le notti di terrore, la paura dei cosacchi e dei tedeschi, la confusione dell’armistizio, c’era tutto per lasciarsi scoraggiare, per non riuscire ad immaginarsi in un futuro neppure prossimo. Ma Gabriella è determinata e non si arrende.
Vuole studiare e non perde nessuna occasione: partecipa a serate in cui si legge e commenta Dante, promette ad un insegnante, affinché la prepari per gli esami di maturità, “un sacco di patate novelle al primo raccolto” anche se né lei né il professore hanno idea di quando sarà la stagione del raccolto!
Riesce a superare l’esame di maturità preparando il programma di due anni di liceo in pochi mesi soltanto e poi via all’università a Roma e, successivamente la gioia per la pubblicazione del primo articolo, dal titolo un pò surreale: “il cimitero delle scatole di latta”.
“LA GUERRA ACERBA” è il primo romanzo di Gabriella, mentre i precedenti libri: tra cui “Le italiane si confessano”, “I sultani”, “I separati”, “Voci dal carcere femminile”, “L’avventurosa storia del femminismo” traggono ispirazione dal lavoro di giornalista che intraprese, giovanissima, a Roma e dalla sua esperienza al Centro Italiano di Antropologia Culturale. “LA GUERRA ACERBA” è un libro contro la guerra ed é proprio la narrazione di Gabriella che l’ha vissuta da adolescente, a rendere più reale il senso di smarrimento e di paura che prova chi altro non può fare che subirla senza potersi neanche difendere.