Il fenomeno è, così, diventato di dominio pubblico.
Sul piano sociologico, la violenza intra-familiare appare ancora oggi soprattutto maschile. Origina dalla convinzione del maschio di poter dominare con la forza. Può derivare da un atavico condizionamento culturale, ed altrettanto condizionate possono essere le donne, quando accettano un ruolo passivo e vittimistico e diventano al tempo stesso complici e “parte lesa”.
Certo è che, come si legge sulla cronaca dei giornali, la spirale di violenza in famiglia può raggiungere livelli aberranti e letali.
Senza trascurare che, se la violenza fisica è più facilmente riconoscibile, è ancora difficile portare alla luce la violenza morale che, nei rapporti familiari, si manifesta subdola, con conseguenze devastanti.
Come contrastare la violenza in famiglia?
Vogliamo qui riparlare della legge n.154/2001, che avevano illustrato in un precedente articolo, per ricordare che questa legge predispone a favore della persona maltrattata uno strumento semplice ed accessibile: l’allontanamento immediato dalla casa del maltrattante.
Prima di questa legge, era difficile sottrarsi alla violenza. Le donne che subivano, dovevano “scappare”: rivolgersi ai centri antiviolenza, trovare rifugio da qualche parte, portare con sé i figli, sradicandoli dalle loro abitudini. Anche se denunciavano il reato commesso in loro danno, potevano non essere applicabili le misure cautelari previste dal codice.
Questa legge attribuisce al giudice il potere di comminare una misura cautelare specifica a carico di chi commette violenza in famiglia, allontanadolo immediatamente dalla casa.
E le pubbliche amministrazioni (che fanno sempre fatica a dedicare capitoli di spesa al finanziamento di strutture e comunità destinate all’accoglienza delle persone maltrattate e dei loro figli minori), con quanto risparmiano, potrebbero meglio informare dell’esistenza di questa legge.
Ricordiamo a chi ci legge che il potere di allontanamento compete al giudice:
Al giudice penale, in pendenza del procedimento; e, su richiesta del P.M., lo stesso giudice penale può ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Ed è' prevista anche la possibilità che l'assegno debba essere versato direttamente al beneficiario dal datore di lavoro dell'imputato.
Ma compete anche al giudice civile, senza che sia necessario fare denuncia penale, quando la condotta del coniuge o del convivente sia “causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà”
Il giudice civile:
- ordina a chi commette violenza la cessazione della condotta;
- dispone l'allontanamento dalla casa familiare;
- richiede l'intervento dei servizi sociali del territorio o dei centri di mediazione familiare;
- impone al maltrattante il pagamento dell'assegno quando, per effetto del provvedimento medesimo, manchino al famigliare mezzi adeguati.
Chi non osserva l¹ordine di protezione emesso nei suoi confronti commette il reato previsto e punito dell’art. 388 del codice penale (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”: reato perseguibile a querela di parte, per il quale è comminata una pena fino a tre anni di reclusione, in alternativa con la multa).
Chiaramente, al giudice bisognerà offrire la prova (documentale e/o testimoniale), perché possa accertare la sussistenza dei maltrattamenti e del grave pregiudizio, ed emettere il provvedimento.
Una raccomandazione alle persone maltrattate: non accettate di subire violenza. Questa legge è dalla vostra parte.
L¹allontanamento della persona maltrattante evita alla vittima, e agli altri componenti della famiglia, il trauma ulteriore di dover abbandonare la casa e i luoghi abituali, per fuggire dalla violenza. La famiglia, per quanto possibile, resta unita nel luogo dove ha i suoi interessi e le sue relazioni: lavoro, scuola, amici.
Il contrasto alla violenza, e particolarmente a quella commessa in famiglia sulle donne, sui minori, sulle persone deboli, è il un passaggio indispensabile per una diffusa educazione di pace.