Con l’espressione “testamento biologico” (o anche testamento di vita, dichiarazione anticipata di trattamento) si suole indicare il documento con il quale una persona, in previsione della sua futura incapacità - per l’eventualità di una malattia o per traumi improvvisi - detta delle disposizioni inerenti alle cure mediche cui intende o non intende sottoporsi.
L’art. 32 della Costituzione sancisce che nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, in accordo con il principio fondamentale (affermato dall’art. 13 della stessa carta costituzionale) della inviolabilità della libertà personale intesa anche quale libertà morale, vale a dire il diritto dell’individuo all’autodeterminazione e all’integrità della propria coscienza.
Dalle norme costituzionali discende la regola generale secondo cui qualsiasi intervento sanitario necessita del consenso della parte interessata e connota il rapporto tra medico e paziente: la “facoltà di curare” del medico - di attuare, cioé i trattamenti che ritiene opportuni nell’interesse del malato - incontra quale limite invalicabile il consenso del paziente, il quale ha diritto di essere adeguatamente informato, perché possa esprimere coscientemente e liberamente la propria volontà.
Che cosa accade, tuttavia, quando una persona non é più in grado di esprimere la propria volontà?
Allo stato il testamento biologico non ha valore giuridico.
L’Italia ha ratificato nel 2001 la Convenzione di Oviedo del 1997 sui Diritti dell’uomo e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n.145) che stabilisce “che i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione” (art. 9). Tuttavia, occorre precisare che, nonostante la legge del 2001, non sono stati ancora emessi i decreti legislativi previsti per l'adattamento dell'ordinamento italiano ai principi e alle norme della Convenzione, né pertanto é stato depositato lo strumento di ratifica.
L’art. 34 del Codice di deontologia medica prevede che “Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Il medico ha l'obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l'età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente”.
Si tratta di norme da cui non discende la vincolatività della volontà espressa dal paziente: da qui l’esigenza del passaggio dal piano etico-deontologico, a quello giuridico.
Quali sono i principali problemi aperti?
- Dal punto di vista sostanziale, si obietta della validità di un consenso manifestato “ora per allora”, per così dire “decontestualizzato”, rispetto alle concrete circostanze da prendere in esame per arrivare a una decisione realmente ponderata.
A tale proposito si osserva che il testamento biologico avrà un minore grado di genericità e astrattezza nel momento in cui viene redatto da una persona già consapevole di essere in procinto di perdere la propria capacità a causa del decorso di una malattia degenerativa. Inoltre, il testamento biologico può contenere la nomina di un “fiduciario” che possa agire in relazione alle concrete situazioni di fatto quale “decisore sostitutivo”, tenendo conto della volontà precedentemente espressa dall’incapace, dei suoi valori e convinzioni.
Quanto poi alla questione per cui non é certo che il testatore biologico, divenuto incapace, e magari a causa dello stato di incapacità, voglia effettivamente tenere ferma la volontà precedentemente manifestata, nel documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle dichiarazioni anticipate di trattamento del 18 dicembre 2003 si legge: “é preferibile far valere le indicazioni espresse dall’interessato quando ancora era in possesso delle sue facoltà e quindi, presumibilmente, coerente con la sua concezione della vita piuttosto che disattenderle facendo appello alla possibilità di un presunto (ma mai comprovabile) mutamento della volontà nel tempo successivo alla perdita della coscienza”.
- Dal punto di vista della efficacia del testamento biologico, si dibatte sulla vincolatività assoluta o relativa delle disposizioni per il personale sanitario. L’opinione prevalente ritiene che il medico possa disattendere le direttive anticipate, indicandone esaustivamente i motivi, nel caso in cui, sulla base delle conoscenze scientifiche e terapeutiche, non risultino più corrispondenti a quanto l’interessato aveva previsto al momento della loro redazione.
- Dal punto di vista formale, si pone la questione delle modalità di stesura del testamento (verbale, per atto scritto, davanti al notaio) e conseguentemente la forma della revoca delle precedenti disposizioni a tutela della effettiva volontà dell’interessato.
- Dal punto di vista dei contenuti, che variano da caso a caso, il testamento biologico può altresì includere precise direttive “fine vita”, vale a dire direttive circa il trattamento da ricevere o rifiutare nel caso di malattia o di un altro fatto che conduca a uno stadio terminale dell’esistenza.
Alcuni intravvedono nelle direttive “fine vita” una implicita ammissione dell’eutanasia: ma é evidente che si tratta di questioni nettamente distinte.
Le direttive sono lo strumento con il quale si tutela la autonomia dei malati: possono prevedere l’eutanasia (salva poi la legittimità di una tale disposizione), ma possono anche espressamente escluderla (anche qualora fosse legalizzata).
Né il rifiuto al trattamento medico, si precisa, può essere confuso con l’eutanasia: il rifiuto, anche se esercizio negativo del diritto alla salute, é egualmente tutelato dall’art. 32 della Costituzione.
Quali sono le indicazioni del Comitato Nazionale di Bioetica, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri?
Nel documento del 2003, il Comitato Nazionale di Bioetica, così conclude:
“In sintesi, il CNB ritiene che le dichiarazioni anticipate siano legittime, abbiano cioè valore bioetico, solo quando rispettino i seguenti criteri generali:
A. abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale;
B. non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia. Comunque il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza;
C. ai fini di una loro adeguata redazione, in conformità a quanto indicato nel punto B, si auspica che esse siano compilate con l’assistenza di un medico, che può controfirmarle;
D. siano tali da garantire la massima personalizzazione della volontà del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli o di stampati, siano redatte in maniera non generica, in modo tale da non lasciare equivoci sul loro contenuto e da chiarire quanto più è possibile le situazioni cliniche in relazione alle quali esse debbano poi essere prese in considerazione.
Il CNB ritiene altresì opportuno:
a) che il legislatore intervenga esplicitamente in materia, anche per attuare le disposizioni della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina e nella prospettiva di una futura normativa biogiuridica di carattere generale relativa alle professioni sanitarie, cui lo stesso CNB potrà fornire il proprio contributo di riflessione;
b) che la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, sia che le attui sia che non le attui, di esplicitare formalmente e adeguatamente in cartella clinica le ragioni della sua decisione;
c) che le dichiarazioni anticipate possano eventualmente indicare i nominativi di uno o più soggetti fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente, da parte dei medici, nei processi decisionali a carico dei pazienti divenuti incapaci di intendere e di volere;
d) che ove le dichiarazioni anticipate contengano informazioni “sensibili” sul piano della privacy, come è ben possibile che avvenga, la legge imponga apposite procedure per la loro conservazione e consultazione.