Perché l’invidia percorre la storia umana, la creazione artistica e riveste cruciale importanza nell’area psicologica? In questo ambito l’aspetto dell’ambivalenza e della negatività diventano centrali. L’invidia è un “sentimento di una persona verso qualcuno che possiede qualcosa che l’altro non possiede”, in modo opposto al superbo l’invidioso ha una scarsa autostima, vede negli altri qualità che lui non possiede.
Nella letteratura psicoanalitica più recente questo sentimento è stato rivisitato come un input positivo, che ci porta ad imitare le persone invidiate per le loro qualità/capacità. Vediamo nel percorso analitico come l’invidia che blocca una persona si può trasformare in tendenza idealizzante ed il paziente riesce a superare il senso di colpa. Nella società americana prevale la emulazione, nella tradizione ebraica i sentimenti negativi si possono trasformare in costruttivi.
Freud parlò di invidia del pene delle bambine verso i maschietti, criticato poi dalle sue stesse allieve-donne che lo accusarono di fallocentrismo.
Melanie Klein elabora la teoria del seno buono/cattivo: il neonato vive in simbiosi con la madre e non distingue il proprio corpo dal suo (il seno materno rientra in questo prolungamento di sé). Nella fase successiva della crescita gli oggetti diventano separati, il bambino li percepisce come estranei da sé, il seno diventa buono e cattivo e non sempre può soddisfarlo pienamente.
Il concetto di invidia e gelosia sono fondamentali per capire lo sviluppo: la gelosia si fonda sulla pulsione di vita, l’invidia su quella di morte, dal conflitto tra i due aspetti ne può uscire un io integrato.
Possiamo chiederci: è un sentimento più legato al femminile o al maschile? E’ possibile conoscendo meglio la nostra ambivalenza, attraverso percorsi psicoterapici, controllare la rabbia legata all’invidia? Nella società consumistica odierna tende a prevalere l’invidia per gli oggetti?