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Il neofemminismo in Italia e in altri paesi - Capitolo XLII

In Italia le prime analisi di tipo femminista vengono dal gruppo DEMAU (Demistificazione Autoritarismo) nel 1966. Ma già nel 1959 Le italiane si confessano denunciava la situazione di assoluta dipendenza della donna e il profondo stato di disagio che ne derivava. Il libro suscitò allora molto scalpore, e anche un certo scandalo, perché la sua denuncia risultava direttamente da alcune centinaia di lettere scritte da donne di ogni età e condizione sociale, che “confessavano” le loro ansie e paure nei rapporti con l’altro sesso, i molti pregiudizi e ricatti subiti.

Fu come un sasso gettato nello stagno della tranquilla ignoranza che aveva sempre circondato la condizione femminile, e che improvvisamente si squarciava. Non era più possibile continuare a pensare, né a dire, che la donna italiana era soddisfatta del suo unico ruolo di moglie-madre al servizio dell’uomo e della specie; che si sentiva protetta nell’essere trattata da eterna minorenne, e che la sua inesauribile “comprensione” verso i difetti del maschio non le era invece imposta dalla mancanza di alternative.
Scrisse allora Zavattini nella prefazione del libro: “L’Italia è ancora un grande harem, la nostra è ancora una società fatta di quello che si tace e non di quello che si dice. Ma la lotta contro tutto ciò è cominciata, e un libro come questo ne è senza dubbio un coraggioso segno”.
Forse il miglior segno che quella lotta comincia a dare i suoi frutti, è che oggi Le italiane si confessano è letto e commentato nelle scuole, mentre allora era un libro proibito, tanto che un professore che l’aveva inserito nella biblioteca scolastica, in una cittadina delle Marche, venne sospeso dall’insegnamento.
In realtà dovevano passare dieci anni prima che, sulla scia di quanto stava avvenendo in altri paesi, nascesse anche da noi un vero movimento femminista. Il primo vagito fu l’apparizione di un ciclostilato con una proposta di piattaforma politica, elaborata nel ‘69 dai collettivi femminili del Movimento studentesco all’Università di Roma. Pur con un linguaggio poco accessibile alla maggior parte delle donne, viene analizzata la condizione di supersfruttamento femminile, e si accusano anche gli uomini di sinistra di favorire, ignorandola, questa situazione.
“Sono i compagni stessi di lotta che non conoscono la portata dell’emarginazione della donna dal suo ruolo storico e produttivo” dice il documento; “che non vedono la sacca di sottosviluppo, e la sua funzionalità al sistema capitalistico, in cui è relegata la donna; che non avvertono il ghetto economico e ideologico che essi stessi contribuiscono a perpetuare, e che fa della donna il naturale alleato del sottoproletario e del nero, un potenziale eversivo enorme che ben poco ha da perdere, se non la sua schiavitù “dorata”, ma che anche, per la sua condizione sottoproletaria, ideologicamente instabile, è la più importante massa di manovra del sistema.”
Le studentesse che avevano aderito al Movimento studentesco, sperimentavano personalmente questa emarginazione: come le loro sorelle francesi, si accorgevano di non essere considerate “alla pari” dai militanti di sesso maschile, i quali spesso accoglievano con sorrisi ironici le loro rivendicazioni e cercavano di “utilizzare” le colleghe come segretarie, affidando loro i lavori subordinati ed escludendole dalle decisioni. “Da angelo del focolare ad angelo del ciclostile” fu l’amaro slogan coniato dalle ragazze dell’Università di Trento, con chiaro riferimento alle loro mansioni, mentre i “cervelli”, sempre di sesso maschile, stilavano proclami e manifesti.
Anche a Trento, come a Roma o Milano, le studentesse si staccavano dal Movimento studentesco per formare dei gruppi femminili autonomi. E la cosa più singolare è che se prima erano regolarmente ignorate, dopo venivano decisamente attaccate, quasi fossero delle transfughe dalla lotta comune. Eppure, solo dopo essersi costituite autonomamente, esse cominciarono a elaborare delle idee e a pubblicare libri e articoli, mentre prima la loro personalità restava completamente schiacciata. Proprio come accade a molte donne che vivono come appendici del marito, e solo se il loro matrimonio fallisce ed esse arrivano alla separazione, dimostrano capacità e spirito d’iniziativa, riuscendo in qualche modo a realizzarsi come individui.
Dall’Università di Trento, e in particolare dalla Facoltà di sociologia, sono usciti vari gruppi femministi, di cui i più noti sono quelli del “Cerchio spezzato” e di “Lotta femminista”. Un collettivo di cinque persone ha anche lavorato a un libro, La coscienza di sfruttata, che è forse l’opera più completa e interessante uscita in Italia nell’ambito della saggistica femminista.
Lo stesso gruppo di “Lotta femminista” prolifica in altre città, come Milano, Padova, Ferrara, Venezia, Modena, Reggio Emilia, Firenze, Napoli, Gela. Basta che una studentessa torni a casa o si trasferisca altrove dopo la laurea, perché subito sorga un nuovo gruppo con lo stesso nome ma in pietia autonomia, e soprattutto capace di inserirsi nella realtà locale. É quanto è avvenuto per esempio a Gela, cittadina siciliana dove la donna vive una situazione del tutto diversa da quella di una studentessa di sociologia a Trento: eppure, grazie alla discussione in seno al “piccolo gruppo”, si sono subito individuati e affrontati i problemi tipici dell’ambiente.
Una delle caratteristiche dell’Italia è infatti quella di essere “lunga assai”, come dice una vecchia canzone napoletana, e questa sua conformazione geografica la rende molto varia anche dal punto di vista socio-culturale, tanto che si può quasi parlare di due o tre Italie. Per questa ragione la condizione della donna è molto diversa se si passa dal Nord al Sud, dove la tutela familiare è assai più pesante e l’indipendenza, sia economica che psicologica, spesso rimane un bel sogno. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che al Nord i maggiori problemi siano risolti: come nel resto d’Europa o in America, la donna vive ancora tutte le contraddizioni della nostra epoca, e forse non è mai stata tanto “sfruttata” come ora.
Questo spiega perché il movimento femminista è nato nelle università, quando c’è stata una vasta presa di coscienza, ed è arrivato poi nelle zone meno sviluppate: mentre non poteva avvenire il contrario, perché dove la donna è più oppressa, è anche più difficile per lei ribellarsi. Ma se il movimento si è allargato a macchia d’olio, è anche perché i gruppi più intellettuali hanno sentito l’esigenza di legarsi alle lavoratrici e alle casalinghe, presentando degli obiettivi che potessero interessarle e spingerle a impegnarsi. Infatti si è ripresa la lotta per la parità di salario e si è cominciato a parlare degli “aborti bianchi”, causati dalle antigieniche condizioni di lavoro in fabbrica; inoltre, per la prima volta, si è chiesto il salario per le casalinghe, affrontando il problema del lavoro domestico, misconosciuto e non pagato.

1 - Gabriella Parca, Le italiane si confessano, Feltrinelli, Milano 1959. (N.d.R,)

L'avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. - Milano - Prima edizione Collana Aperta maggio 1976
Seconda Edizione Oscar Mondadori marzo 1981
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