LIDIA
Le donne che finalmente hanno avuto accesso al parlamento e alle istituzioni locali avevano aperto nei partiti il dibattito "politico" sulle tematiche della parità di diritti uomo donna: in famiglia e nel lavoro. Si erano occupate della scuola per tutti, dell’assistenza sanitaria, delle provvidenze sociali, dell’accesso per tutti all’istruzione e alle risorse culturali.
Prefiguravano un “sistema” che fornisse ai cittadini servizi a garanzia di un tenore di vita accettabile. Non sembra, però, che abbiano potuto/saputo/voluto condizionare in questo senso la politica dei loro partiti.
Forse sono loro che sono state condizionate. D’altra parte va posta mente a due fattori: -Quanto all’assistenza e la beneficenza l’Italia ha antiche e consolidate tradizioni nella organizzazione e nella pratica della “carità”. Con la capillare organizzazione amministrativa delle parrocchie e degli enti religiosi la Chiesa ha forte ascendente nella gente e grande potere nella politica. Le sue gerarchie rigidamente maschili, tuttavia hanno sempre dato largo spazio, subalterno, alle donne credenti utilizzando la loro sensibilità per opere caritatevoli svolte da enti religiosi femminili negli ospizi, negli ospedali, negli asili nelle scuole nelle parrocchie.
Anche il flusso economico destinato allo “Stato sociale” è sempre stato indirizzato di preferenza verso le organizzazioni assistenziali cattoliche. Questa questione, “politica”, ha avuto momenti di tensione. Per esempio, nel 1964 il governo di centro-sinistra, presieduto da Aldo Moro era stato battuto alla Camera e messo in crisi per aver proposto ulteriore finanziamento alle scuole materne private, vale a dire, cattoliche. Bisognerebbe ripercorrere la “storia” dell’assistenza e beneficenza appartenente da secoli alla tradizione etico-religiosa cattolica, per verificare le contraddizioni italiane nella costruzione di uno “Stato Sociale”.
- Quanto alla “grande politica”, le donne si sono adeguate ai rispettivi partiti per poter assumere ruoli al pari dei loro colleghi maschi, dovendo farsi valere, rispetto gli uomini bave intelligenti preparate, anche se la loro carriera poteva colludere con rapporti sentimentali.
La politica della “ricostruzione” aveva comunque piglio maschile.
Con il Governo di De Gasperi Luigi Einaudi - economista liberale – aveva varato una energica politica di risanamento per frenare l'inflazione e la caduta della lira in un'ottica fortemente conservatrice, cioè bassi salari e sostegno alle imprese del nord.
Riemergeva la questione meridionale.
I partiti e le organizzazioni di sinistra guidavano le lotte contadine, costringendo il governo a elaborare politiche meriodionaliste sfociate nell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, nel 1950 e nella riforma agraria per la ridistribuzione delle terre (circa 700.000 ettari) ai piccoli proprietari contadini.
La “Cassa del Mezzogiorno” che aveva avuto Anna Matera - socialista – alla dirigenza, era stata concepita per sostenere iniziative industriali che dessero lavoro. E’ noto che ha erogato finanziamenti a pioggia che andavano a finire nel sottobosco clientelare, investiti in appalti di opere pubbliche iniziate a mai finite gestite da poteri non proprio trasparenti se non decisamente illegali, che si sono consolidati economicamente invadendo la stessa organizzazione burocratica e politica dello stato.
I finanziamenti ordinari alla industrializzazione del nord erano stati superiori a quelli erogati in via straordinaria dalla Cassa del Mezzogiorno.
Per fuggire la povertà e trovare lavoro, gli Italiani che sono stati popolo di emigranti (verso le Americhe e l’Australia, verso la Germania, la Svizzera, la Francia, il Belgio... mentre le donne (le vedove bianche) aspettavano, talvolta invano, quelle “rimesse” che comunque sono state una voce importante del bilancio dello Stato).
Nel dopo-guerra. la politica privilegiando l’industrializzazione nel Nord-Italia, incentivava una diversa emigrazione, quella interna, dal sud che si era impoverito, verso il nord che prometteva lavoro nelle fabbriche.
Una migrazione che creava nuove discriminazioni, ma anche una sorta di “unificazione” nell’intreccio di matrimoni e di nuove parentele. Un rimescolamento della popolazione italiana, ma anche di traffici e riciclaggi: grandi questioni ancora irrisolte.
In questi anni, disordinatamente, tra sacrifici dolori e speranze, le fabbriche del nord offrivano lavoro agli uomini ed alle donne: il tenore di vita delle famiglie si indirizzava verso il consumismo. Venivano acquistati, a rate, i beni che le industrie sfornavano: la radio, il frigorifero, la lavatrice, l’utilitaria.
Il miraggio di una promozione sociale sembrava a portata di mano. L’Italia contadina si trasformava rapidamente, ma con grandi squilibri nei rapporti tra nord e sud; si inseriva tra Paesi più industrializzati del mondo. Veniva meno, anche per le donne, il valore della parsimonia, ingolosiva la possibilità di arricchire. I sindacati lottavano soprattutto per gli aumenti dei salari.
Le poche donne in politica, fagocitate dalla macchina dei rispettivi partiti, non erano assolutamente in grado di spostare i flussi economici che ispiravano queste politiche, semmai lo avevano pensato. Per esempio, se pensiamo all’edilizia in mancanza di piani territoriali coordinati ed efficienti, ha avuto spazio la speculazione senza regole, che ha deturpato in modo selvaggio il territorio.
E’ ancora Lidia che ci fa vedere la spietata denuncia della speculazione edilizia e della connessa corruzione degli anni sessanta, nel film, del 1963, diretto da Rosi “Le mani sulla città”.
Le poche donne dei partiti, in quei tempi del dopo-guerra, se hanno messo le premesse della affermazioni del principio di parità diritti tra donna e uomo hanno avuto ben poche possibilità di interferire, con ottica nuova e solidale, nella “politica economica”: quella che dovrebbe dare il giusto ritmo alla ridistribuzione della ricchezza del Paese.