LUCIA
Volgendo lo sguardo alla “grande politica” di quegli anni in Italia, il sistema dei partiti e del potere ha cercato gli strumenti per difendersi dalla contestazione studentesca, quando qualcuno dei contestatori è finito nella clandestinità teorizzando la violenza per una sorta di rivoluzione che potesse sovvertire gli equilibri economici e politici con l’abbaglio di poter creare, nel sangue, le condizioni per una rivoluzione di popolo in senso “comunistaleninista”.
Ma è ancora oscuro se ci fosse qualcuno più potente delle BR che alimentava contrapposti terrorismi criminali. Qualcuno molto ben organizzato su cui si allungava l’ombra sinistra della P2 e della mafia con l’obiettivo di deviare l’assetto di potere a sostegno di potentati politici in crisi e di potentati economici che si espandevano. E si sono consumate stragi gestite da pochi che si vogliono ancora ignoti per spaventare la gente e procurare sottomissione nella paura.
In parlamento per volontà di una donna divenuta Presidente della Camera, Nilde Iotti (comunista), era stata nominata la commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, istituita con Legge 23 settembre 1981, n. 527. La Commissione era guidata da un’altra donna, Tina Anselmi (democristiana), dal curriculum politico che partiva dalla militanza partigiana cristiana ed era stata la prima donna che è stata ministro in Italia (nel governo Andreotti).
La Commissione aveva accertato le connessioni perverse che la P2 aveva con il potere economico e politico sommerso, e con la mafia, per conquistare agli adepti privilegi e potere contro quelli che sono i principi di democrazia.
Ma la Commissione parlamentare aveva solo poteri di indagine e ha fatto un grande lavoro, ma la Magistratura non trovava la prova dei reati che si andavano configurando nelle cospirazioni dei piduisti di Gelli.
Tra gli stragisti e sedicenti giustizieri c’erano anche alcune donne, forti e determinate, che hanno vissuto e gestito lo scontro criminale assieme agli uomini con i quali condividevano idee e ambizioni: nelle brigate rosse, nelle organizzazioni sulle trincee di destra, ed anche nei salotti del “potere”.
Donne di cui, per via del femminismo, i giornali e i media sottolineavano la presenza, in quanto donne.
Nel Paese, sono stati lunghi anni di stragi insensate, di lutti e di dolori per chi si è trovato nel luogo e nell’ora della strage. Tuttavia, sono stati anni all’apparenza “normali” per la maggior parte della gente comune che viveva le notizia stragiste come una bufera che distruggeva lontano.
E anche l’apparato amministrativo ed organizzativo e produttivo del Paese continuava - con qualche crisi strutturale - a funzionare nelle congenite distorsioni clientelari Sul piano della politica istituzionale, gli anni settanta sono stati anni di grandi riforme legislative, per le donne e per i lavoratori Il 1970 è l’anno dello statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300) e della introduzione del divorzio (L. 1° dicembre 1970 n. 898).
Riguardo al divorzio, la proposta di legge era stata presentata, fin dal 1965, dal deputato socialista Loris Fortuna ferocemente contrastata da vasti settori della Dc e del mondo cattolico.
Tra i partiti, in parlamento, è stato il compromesso: la D.C. aveva dato i suoi voti alla approvazione della legge sul divorzio (n. 898 del 1970), dopo che la sinistra aveva dato i suoi voti alla approvazione della legge sull’attuazione del “referendum abrogativo” previsto dalla costituzione, ma solo ora attuato con legge ordinaria (L. n. 352 del 1970). Vale a dire, il referendum é stato la contropartita data alla Dc perché sul divorzio non si determinasse in parlamento, tra le forze politiche, una rottura. Una parte del mondo cattolico si affidava all'illusione che appellandosi direttamente al corpo elettorale, si sarebbe pronunciata una maggioranza conservatrice e clericale (di donne), che avrebbe abrogato la legge.
Invece, la legge del divorzio é passata al vaglio del referendum popolare del 1974 e in parlamento si é potuta aprire la discussione per approvare la radicale riforma del diritto di famiglia, poggiata su NUOVI VALORI: quello della uguaglianza della libertà di ogni persona, uomo o donna.
Una riforma di cui si parlava da tanto tempo nelle associazione femminili e femministe. L’ “Associazione giuriste”, che associava avvocate, magistrate e 10 funzionarie pubbliche, nata nel primo novecento e risorta dopo la guerra, aveva elaborato nei suoi congressi proposte neppure troppo rivoluzionarie, rispetto a quelle del Movimento femminista.
Introdotto il divorzio, la riforma della famiglia (legge n. 151 del 1975) ha sostanzialmente capovolto i VALORI tradizionali su cui si reggeva la famiglia patriarcale. La riforma ha stabilito:
- la parità giuridica tra i coniugi - uguali diritti e responsabilità tra moglie e marito - che ha sostituito la preminenza del marito/padre.
- la comunione dei beni che ha sostituito l’istituto della dote e l’egemonia economica affidata al marito/padre;
- La potestà genitoriale, intesa come dovere dei genitori alla crescita dei figli, che viene a sostituire la patria potestà, intesa come potere del padre.
- la uguaglianza di tutti i figli che ha sostituito la discriminazione dei figli nati al di fuori del matrimonio rispetto a quelli nati nel matrimonio.
E questo è il punto più significativo che rispetta il concetto di diritti umani di ogni nato (da donna), comunque nato, nel matrimonio o al di fuori del matrimonio. Una riforma rimasta incompleta sul piano dei diritti e su quello processuale.
Nel sistema giudiziario, con le sue lentezze e contraddizioni, quando occorre applicare la legge che regola i diritti nella famiglia, nonostante la riforma in senso paritario ed egualitario, la difesa dei diritti delle donne e bambini trova distorta tutela.