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Femminismo e movimenti femminili nei partiti politici in Italia - 17

PARTE TERZA - IL MOVIMENTO FEMMINISTA DEGLI ANNI SESSANTA

Capitolo 7 - Le politiche delle donne per le donne
LUCIA
Consultando le statistiche che emergono da diversi studi sulla situazione femminile, editi da enti locali o università, emerge che a livello istituzionale la partecipazione delle donne alla politica nei rispettivi partiti è tanto più minoritaria, quanto più si sale nelle carriere. Diviene tuttavia sempre più consistente a livello locale.

E’ incentivata attraverso le regioni e le Camere di commercio, l’imprenditoria femminile che gode di finanziamenti pubblici: una imprenditoria che si rivolge soprattutto al terziario e ad attività sociali.
A parte la numerosa presenza delle donne nel volontariato, peraltro monopolizzato dalle organizzazioni cattoliche, ma anche in iniziative laiche a tutela delle donne, quali le “Case per le donne maltrattate”.
Per iniziativa di alcune donne dei partiti che hanno raggiunto visibilità e potere, sul modello di altri Paesi Europei, si sono costituiti a livello di governo centrale e locale organismi istituzionale per le politiche destinate alle donne.
Con il governo Craxi (1983), per merito della senatrice socialista Elena Marinucci, è stata costituita la Commissione “Pari opportunità”, direttamente dipendente dalla Presidenza del Consiglio.
Presso il Ministero del Lavoro, con con la legge 125/91 era stata istituita la figura della “Consigliera di Parità” nazionale, regionale, provinciale e comunale, con il compito di verificare e realizzare che gli enti pubblici e le imprese private applichino i principi di uguaglianza, di pari opportunità e non discriminazione tra uomini e donne ed incentivare nelle loro aziende, ed istituzioni all’assunzione e promozione del lavoro delle donne: le cosiddette “azioni positive” che comportano anche vantaggi fiscali.
Dall’Europa, i progetti del Fondo Sociale Europeo a favore delle “pari opportunità”(non esenti da fenomeni corruttivi) hanno incentivato e finanziato le “politiche” della “formazione professionale” delle donne.
Si può dire che negli anni ottanta le “politiche” per le donne, concepite come strumento per l'inserimento lavorativo e per lo sviluppo professionale e di carriera, anche in Italia, hanno raggiunto i luoghi istituzionali e hanno costituito una sorta di nicchia, nei partiti e nelle istituzioni, che ha assorbito molte delle energie femminili e qualche risorsa, dove si sono collocate anche alcune delle donne dei partiti e delle associazioni, che avevano partecipato al Movimento.
Si ha l’impressione che queste “politiche” delle “pari opportunità  e delle “azioni positive” con la gestione di fondi europei e pubblici, parlino un linguaggio specialistico e poco noto alla generalità delle donne che non si occupano di “politica”, che sono impegnate nel doppio lavoro.  Anche quelle più impegnate a livello professionale, come è emerso in una indagine sulle donne nelle libere professioni di qualche anno fa, si sentono privilegiate discriminate.
Certo è, però, che le donne sono ormai entrate a pieno diritto, in massa, anche se non ancora a livello dei Paesi nordici europei, nel mondo del lavoro in ogni campo, con grandi capacità intellettuali ed organizzative: nessuno, e tanto meno i partiti, osa contrastare il diritto delle donne al lavoro e alla carriera, ma si pretende che le donne si dedichino alla carriera “come” sono abituati a farlo gli uomini.
In un consultorio, un manifesto spiritosamente diceva: “Alle donne per far carriera serve una moglie”.
Cioè le donne hanno bisogno di chi si occupa dei figli e del ménage, con l’affetto e la dedizione di “una moglie”tradizionale, per dedicarsi alla carriera.
Studi e indagini approfondite avrebbero accertato che la discriminazione delle donne nelle carriere avviene non solo o non tanto, da parte degli uomini, ma anche per ragioni interne psicologiche delle donne: una certa insicurezza, minor aggressività, inclinazione ad accontentarsi, minor desiderio di carriera rispetto al desiderio di figli e famiglia, difficoltà anche economiche di coniugare la vita privata e la carriera soprattutto quando le donne non vogliono rinunciare alla maternità ed alle cure dei figli.
Se guardiamo ai sistemi di produzione e di distribuzione commerciale, il lavoro casalingo delle donne di oggi può contare su ausili che le donne di volta neppure immaginavano: dagli elettrodomestici alla confezioni di abiti e di cibi, che hanno industrializzato certe incombenze domestiche.
E’ soprattutto questo, che permette alla maggior parte delle donne di cumulare il doppio lavoro, in casa e fuori. Ma spesso il doppio lavoro le pone di fronte di conflitti personali e sensi di colpa: non potersi dedicare completamente nè ai figli nè al lavoro.
Nelle famiglie si verificano significativi squilibri a livello relazionale che generano tensioni tra i partner nell’organizzazione della convivenza familiare. I giovani uomini son ben contenti che la moglie vada a lavorare: una famiglia mono-reddito ha grosse difficoltà di sopravvivenza. Ma nei rapporti interpersonali, la sovrapposizione dei ruoli per la indipendenza delle donne, produce un certo rilassamento dei maschi nella non facile la collaborazione nella organizzazione domestica.
Il lavoro in casa resta un LAVORO senza VALORE,  e quindi un “non lavoro” che consuetudinariamente viene svolto dalle donne, con l’auspicio che venga condiviso dai compagni e dai mariti.
Lo aveva denunciato il Movimento sin dagli anni sessanta nei proclami che rivendicavano il “salario” per le casalinghe.
E se un altro capitolo si aggiunge alla politica delle pari opportunità, quello delle “politiche di conciliazione”, c’è chi dice che proprio la destinazione “alle donne” di queste politiche, costituisce di per sè discriminazione.
Quelle della conciliazione sono le politiche perseguite particolarmente dalle amministrazioni locali che predispongono strumenti di flessibilità dell'organizzazione degli orari di lavoro e nei tempi di apertura degli uffici pubblici e dei negozi, in una generale strategia che consenta (alle donne) di svolgere il doppio lavoro.
Queste “politiche sociali” considerano il “tempo” come un “bene collocato tra i beni di uno spazio urbano” per collegare i momenti della produzione e quelli del consumo.
Purtroppo, in Italia mancano misure generalizzate sociali e soprattutto fiscali predisposte dallo Stato a sostegno del “costo” dei figli. Gli assegni familiari sono attribuiti in modo incongruo; non esiste alcuna provvidenza automatica per la crescita del figlio; Le pubbliche amministrazioni, tendono a privatizzare i servizi, con alti costi per la famiglia, per esempio le rette dei nidi; il “sussidio” per le madri nubili è affidato spesso alla discrezionalità delle amministrazioni.
Le madri a basso reddito, naturali, separate o divorziate, che si trovano sole a crescere i figli, hanno problemi di quotidianità, non di carriera.
Le scienze sociali dicono che è nel rapporto con la madre, nei primi anni di vita, che si sviluppa armonicamente la personalità del bambino/ della bambina. L’Organizzazione Mondiale della Sanità propugna l’allattamento al seno.
Esistono in questo ambito studi ed esperienze educative, massimamente proposti e realizzati per parte delle donne. Ma non esiste in Italia una vera protezione che lo Stato o gli Enti locali, indirizzano il sostegno economico, al rapporto madre/figlio, che è una protezione non per la madre, ma per la crescita armonica del bambino. Quello che avviene troppo spesso è che le madri stressate per non aver di che provvedere ai figli e per il doppio lavoro, anziché ricevere un sussidio che plachi lo stress e consenta loro di accudire serenamente al loro bambino, vengono colpevolizzate e dichiarate semplicisticamente “inadeguate” dai servizi sociali e anche dal giudice.
Capita in diverse amministrazioni locali che contributo economico per la crescita di un bambino venga devoluto alle famiglie che si rendono disponibili ad accudire in affidamento i bambini di chi, - secondo il Tribunale – non sarebbe genitore adeguato, magari solo per problemi economici. E ci sono associazioni di famiglie affidatarie gestite da sacerdoti, che sono organizzate per accogliere questi bambini allontanati dai loro genitori naturali.
Sembra che il “nuovo” portato dal Movimento delle donne, che studiano di più, si laureano prima degli uomini, hanno accesso ad ogni carriera, si fermi davanti alla necessità di disporre delle risorse statali in modo congruente ai bisogni delle donne che lavorano.
Al riconoscimento della parità tra i sessi, in Italia, non è “adeguata” la politica che che è seguita per rispondere alle esigenze delle donne nella differenza di genere alle esigenze dei bambini di nascere da genitori che li accolgono.