Lei covava dentro di se una rabbia sorda verso quei ragazzi, ma anche verso tutti gli altri: soprattutto contro i suoi genitori che l’avevano portata via dalla scuola speciale nei pressi di Parma, dove con le amiche e la Maestra aveva imparato in quegli anni tante cose che le davano modo di superare la sua sordità. Prima che il padre per un avanzamento di grado – da brigadiere a qualcosa di mezzo prima di maresciallo – accettasse il trasferimento dal continente a quell’isola già mezza Africa dove a stento le avevano dato un’insegnante di sostegno.
Questa però non conosceva il linguaggio dei segni ed era stata capace soltanto di suggerirle di seguire le edizioni del Telegiornale in cui la presentatrice “parlava” a gesti, mentre una voce parlante, in sottofondo, leggeva le notizie; avrebbe così potuto – in quei pochi minuti al giorno – almeno, non perdere l’abitudine.
Lei non poteva così, tanto meno, aspettarsi che il Sostegno fosse in grado di farle cambiare l’intonazione della voce - tutta una costruzione artificiale- e Giulia sarebbe stata costretta per tutta la vita ad esprimersi con quella sua voce sintetica che, dicevano i suoi compagni, rassomigliava al ragliare di un asino, con la variante di un chiocciare da gallina quando si sforzava di esprimere affetto ed amicizia.
La capiva soltanto e la abbracciava in queste occasioni una sua compagna di classe storpia e stenta. La loro amicizia aveva subito destato l’ilarità ed i commenti degli altri ragazzi che arrivavano ad immaginare impossibili accoppiamenti tra loro due, con chi sa quale mostro per discendenza. Cattivi ed ignoranti!!.
C’erano poi due o tre dei più grandi che cercavano di buttarla contro un muro per toccarla, quasi per spregio, approfittando di qualche volta in cui la trovavano sola, in ritardo, per le scale di scuola. Le sue urla erano fraintese da compagni ed insegnanti e non le restava altro che cercare di divincolarsi da sola tirando qualche calcio...
Non aveva avuto mai il coraggio di lamentarsene a casa perché sapeva come sarebbe andata a finire, con la madre che avrebbe dato subito la colpa a lei “non dovresti metterti in mostra come facevano le tue compagne in continente”. O peggio, con il padre che la avrebbe riempita di botte e poteva fare qualcosa di terribile com’era successo nella casa vicina alla loro quando erano appena arrivati, d’agosto.
Un tale aveva sparato con la doppietta, non colpendolo solo per fortuna, su un ragazzo che aveva mancato di rispetto a sua figlia ed il padre di Giulia ne aveva parlato con la moglie a casa “doveva prenderlo, così imparava, quel disgraziato”. Allora lui non sapeva ancora che la figlia sapeva leggere le parole dal movimento delle labbra, e quando se n’era reso conto, proprio in quell’occasione, si era infuriato e l’aveva trattata da “smorfiosa gatta morta”.
La nascita di Giulia tredici anni prima, poco dopo il matrimonio, era stata accolta con gioia dalla madre Antonia e dagli altri parenti ed il padre si era unito al giubilo generale celando la delusione che non fosse un maschio. Il risentimento era venuto fuori quando i dottori gli avevano spiegato che sua moglie non avrebbe potuto avere altri figli, ma poi lui se n’era fatta una ragione..
Quando però dopo pochi mesi si erano accorti che Giulia era quasi completamente sorda - percepiva solo certi suoni e null’altro - il Brigadiere si era sentito doppiamente truffato dalla sorte. Aveva allora preso ad accusare la moglie per avergli sempre nascosto l’esistenza di un lontano parente, sordo dalla nascita come Giulia.
Antonia, la madre, a quel punto non aveva mancato di accusare il marito della “disgrazia” di non potere avere altri figli, che non era una disgrazia ma la conseguenza di una malattia, ‘di quelle che si prendono con le donnacce’, che lui le aveva trasmesso.
Nel suo essere una ”infelice” Giulia aveva avuto la fortuna di avere una intelligenza brillante, tanto da imparare senza sforzo e quasi immediatamente la lettura delle labbra ed il linguaggio dei Segni nell’Istituto per non udenti dove l’avevano portata. La madre si era data da fare, con successo, ad apprendere pure lei i primi rudimenti della Segnatura e così in casa si era costituito un “ponte affettivo”. Il padre, invece, da principio aveva avuto molta difficoltà nell’adeguarsi, e poi aveva smesso di seguire quelle poche lezioni dicendo che non voleva imparare quel gesticolare “da delinquenti camorristi” ed usava piuttosto una mimica primitiva e volgare, fatta soprattutto di gesti minacciosi e segni di diniego.
Giulia, Giulia
Da dove sei venuta….
…………
berciavano ora i suoi compagni di scuola; storpiando una vecchia cantilena che loro avevano trasformata con versi e rime sconci. Lei sentiva come un lontanissimo brusio mentre si stava allontanando; le giungeva dal fondo della sua sordità un ritmo che aveva imparato ad associare a quelle parole.
Presto era stata lontana dai suoi persecutori ma la sua amichetta, la stortignaccola, che cercava sempre di difenderla, era rimasta indietro in mezzo a quella marmaglia vociante. Giulia cercava di non pensarci e tirava dritto, sperando che quelli trovassero presto qualche altra maniera per divertirsi: forse si erano già messi a tirare sassi ai due poveri cani tenuti in giardino da quella vecchia signora della casa bianca.
Lei aveva intanto preso la stradina esterna alla diga foranea e si dirigeva come tante altre volte verso il faro disabilitato che era alla fine del mondo, le veniva fatto di pensare. Era solo un rudere con alla base uno stanzone dove non entrava la pioggia; lì, una volta era conservato il carburo per le lanterne del faro, ma ora nell’isola era in funzione solo il grande faro della Marina Militare che scandiva ritmicamente il tempo con le sue alternanze di luce – spento – acceso, un linguaggio che Giulia avrebbe voluto imparare. Ma era lassù, accanto alle antenne radar, in uno spazio circondato da un reticolato, Zona militare, limite invalicabile ammonivano i cartelli tutto intorno.
In paese non se n’erano quasi accorti, abituati com’erano a ben altre tempeste, ma il mare quella notte era stato molto mosso, quasi agitato e solo adesso si stava calmando; da poco si era sciolta la nebbia fittissima che da qualche tempo si formava sul mare verso la fine della notte: uno dei tanti “cambiamenti della modernità” come dicevano gli anziani.
I gabbiani, tutt’intorno si abbassavano fino a toccare l’acqua e volare subito via per affollarsi dopo su qualcosa di indistinto poco più al largo.
Percepiva pur nella sua sordità il loro stridio ed era sempre un motivo di speranza di poter tornare normale; provava a quelle strida una sensazione, fastidio lo avrebbe altrimenti chiamato, che si diffondeva nella sua testa più o meno come quando nell’Istituto la facevano sedere davanti a tanti apparecchi con una cuffia alle orecchie ed un pulsante da premere quando “sentiva” qualcosa.
Ma tutte quelle riflessioni Giulia le aveva subito messe da parte quando quasi ai suoi piedi appena un metro più in basso, tra due massi aveva visto un barbaglio rosso… ed aveva capito che si trattava di un paio di occhiali da sole con le lenti quasi completamente oscurate a riflettere in modo tanto strano la luce del sole.
Vedere, capire e saltare tra gli scogli del frangiflutti fino a raccogliere quegli occhiali strani era stato un istante, ma in quel breve movimento attratta quasi dallo sbattere delle ali di uno dei gabbiani aveva visto qualcosa di indefinito poco distante. Sembrava uno di quei manichini, solo busto, che aveva visto nel negozio di abbigliamento; poi il manichino con una specie di piroetta si era girato ed era un torso di uomo, un cadavere smembrato con indosso un ampio maglione che copriva le braccia fino alle mani che non c’erano.
uuUU0U!!!
Giulia sentiva quasi distintamente quella sirena
Un battello della Finanza aveva doppiato il molo e si stava avvicinando, enorme, con due baffi di schiuma a prua, i fari accesi pur in mezzo a tutto quel sole. Giulia, spaventata si era d’istinto appiattita più che poteva sullo scoglio. Poi, sempre per quell’istinto che sembrava avesse il sopravvento su di lei in quel mattino, era saltata indietro di nuovo lungo la passatoia del molo ed aveva nascosto gli occhiali - un istante prima non si era neppure accorta di averli raccolti - in un tascone del giubbotto jeans che portava sopra la camicetta. Nella scia del battello, quell’indistinta massa che lei aveva visto poco prima sotto il nugolo dei gabbiani, aveva ora un significato preciso, terribile: erano corpi umani quelli che il moto ondoso dell’imbarcazione veloce spingeva verso il molo.
Giulia era ora al centro dell’attenzione sul piazzale della caserma della Finanza dove cercavano di raccogliere una sua deposizione, così, su foglietti di carta perché altrimenti nessuno la capiva e la madre che avevano mandato a chiamare ancora non arrivava.
Lei si era incaponita: finalmente poteva fare valere come “superiorità” la sua disgrazia. Tutti volevano che fosse normale per poter avere da lei le spiegazioni che cercavano e lei intenzionalmente non usava più quel suo linguaggio metallico, artificiale, per il quale veniva di solito derisa. Faceva finta di non capire, come fosse regredita di tanti anni verso la sua sordità completa e pretendeva che tutto, domande, risposte, commenti, altre domande, si svolgesse su quei pezzi di carta che facevano impazzire il Tenente che correva da una parte all’altra per capire come e perché.
Una verità tragicamente banale: uno dei cadaveri recuperati era quello di un pregiudicato per pesca di frodo con l’esplosivo; una nuova tragedia della miseria. Povera gente, uscita appunto col mare grosso per non farsi notare, vittime poi di un qualche errore nel maneggiare i candelotti di dinamite.
Il Tenente era stato chiamato per una prima sistemazione dei cadaveri nell’attesa dell’Autorità Giudiziaria e stava tornando alla Caserma, stravolto per il macabro spettacolo cui aveva dovuto assistere. Proprio in quel momento gli si era presentato con fare arrogante il padre di Giulia, che senza stare nemmeno ad ascoltare le domande del superiore si era scagliato una volta di troppo su sua figlia: sorda, irresponsabile e ostinata come un mulo, “parla” solo con quei gesti da camorristi, che lui, certo, non avrebbe mai imparato.
Il Tenente, uno del Continente, aveva approfittato della circostanza per sfogarsi e “mettere un poco di sale in zucca” ad uno dei suoi graduati, tanto perché sentissero tutti la lezione. E si era dato da fare a spiegargli che il suo primo dovere di padre, di cittadino e di sottufficiale era nei confronti della figlia… che se non voleva fosse un’infelice per tutta la vita….lui la doveva aiutare. Il tutto detto davanti a Giulia che non aveva potuto fare a meno di “vedere quelle voci”; ed allora non si era sentita di proseguire oltre la commedia che le era venuta prima così spontanea.
Usando al meglio tutta la sua capacità di parlare aveva detto con quella sua voce sintetica, una volta tanto neppure tanto asinina, che prima aveva voluto un poco far vedere agli altri come lei si sentiva quasi sempre…. che si rendeva ora conto di avere sbagliato…. che suo padre stravedeva per lei e non le faceva mancare mai il suo affetto…… che semmai erano troppo gravosi i turni di lavoro…..appena arrivava a casa, mangiava un boccone e cadeva sul letto che già russava……
Il padre era sinceramente commosso, ma oramai quello che Giulia poteva dire non interessava più il mondo dei grandi, delle Autorità.
A Giulia non badava più nessuno dei “grandi”: il padre era tornato al suo posto di controllo, il tenente si era allontanato con la motovedetta verso un nuovo avvistamento in mare.
Ma lei aveva trovato un primo punto di forza:
Lei aveva visto i cadaveri e non era scappata, aveva tenuto a bada il Tenente, aveva qualcosa di più degli altri!
Ed ora passeggiava tutta fiera sottobraccio alla sua inseparabile amica, con i compagni che le seguivano mentre lei faceva finta di non vederli e loro non sapevano che li vedeva bene lo stesso
con quei minacciosi occhiali da killer.