Anche “ La nostra vita” di cui parliamo oggi, è stato presentato a Cannes e come l’altro ha qualcosa del documentario nel presentarci la realtà, ma lì questa era vista con una certa ironia, un certo distacco, mentre qui si ha l’impressione che il regista ci si tuffi dentro e non risale in superfice finché non sta per annegare. “La nostra vita” è la storia di un uomo che ha perso la felicità, quella vera, basata su i sentimenti, le emozioni, e cerca di sostituirla con quella dell’avere, del fare soldi, del possedere cose che prima non poteva permettersi. Ma oltre a non poter rimpiazzare la felicità perduta, questo lo porta ad una doppia infelicità, da cui potrà uscire solo grazie ad una specie di miracolo. L’ambiente in cui ha inizio la vicenda è quello di un cantiere romano, dove lavorano in nero molti extracomunitari. Claudio, interpretato da Elio Germano, è uno dei pochi operai italiani, forse in posizione regolare e soddisfatto del suo lavoro.
Ma soprattutto soddisfatto dell’aria che respira in famiglia, con una moglie bella e affettuosa che lo appaga sotto tutti gli aspetti, e due bambini che completano la sua vita. Le rinunce non pesano: non importa se non si può andare in vacanza in Sardegna, come Elena ( Isabella Ragonese), la moglie in attesa del terzo figlio sogna da tempo, ci si andrà un altro anno… Ma non si può ipotecare il destino. Elena, proprio nel mettere al mondo il suo bambino, parte per un viaggio senza ritorno. E Claudio senza di lei si sente perduto. La famiglia senza di lei non è più una famiglia, la casa non è più la “loro” casa, lui ha il vuoto dentro invece della felicità fatta di tutto e di niente a cui era abituato. E reagisce, non cadendo in depressione come capita a molti, non abbandonando il lavoro e stazionando su una panchina come il protagonista di “Caos Calmo”, cosa che non potrebbe permettersi. Ma al contrario, cercando di far soldi a tutti costi, in tutti i modi, leciti e illeciti, anche se il fratello Piero (Raoul Bova) prova ogni tanto ad aprirgli gli occhi.
Claudio è come se fosse diventato un altro, e il momento che segna questa trasformazione, come nell’uomo che diventa lupo, è dato in una scena brevissima ma molto significativa, in cui lui canta a squarciagola, è disperato ma canta, un’espressione irriconoscibile sul volto. Altri lavoratori del sottobosco edile, i “cottimisti” che lavorano dodici ore al giorno, salvano il neo-imprenditore Claudio dal disastro, mostrando un altro aspetto di questa realtà. E tutto si risolve, se non proprio con un happy end , almeno lasciando intravedere che le cose si sono aggiustate, per il momento. Ma la felicità, la cui ricerca è prevista anche dalla Costituzione americana, è quasi certo che non tornerà più. recensione di Gabriella Parca